martedì 4 ottobre 2011

SULL' ORLO DEL BARATRO

In nostro paese è giustamente in fibrillazione. Siamo stati appena declassati da una delle piu’ importanti agenzie di rating, il che comporta un’ondata speculativa sui titoli di stato italiani e un maggior costo del debito pubblico in termini di interessi per il cittadino italiano. Personalmente diffido delle società di rating così come delle istituzioni economiche, siano esse nazionali che internazionali. Nessuna istituzione è neutrale ma si prestano tutte a difendere determinati interessi. A tale regola non sfuggono le società di rating. La stessa Standard & Poor’s che ci ha appena declassati, ha espresso giudizi rivelatisi delle cantonate mostruose in tempi non lontani: aveva consigliato agli investitori i titoli Parmalat proprio una settimana prima del crack, aveva espresso un giudizio positivo sui mutui americani che sono stati responsabili del recente crollo delle banche negli States, aveva dato un’ottimo giudizio sulla banca Lehman Brothers rivelatasi l’esatto contrario.

Questo, però, non significa che nel merito del giudizio dato sul nostro paese, questa Società di rating abbia torto. Anzi. La manovra economica varata dal governo si rivela ancora una volta non solo un tirare a campare ma denota una netta scelta di campo che è quella di difendere i redditi alti a scapito dei medio bassi e bassi e del mondo del lavoro. Non è uno slogan questo ma una presa d’atto che nasce dall’esame della manovra stessa. Un’esempio per tutti è l’ aver optato per l’aumento dell’ IVA dal 20% al 21%, puo’ sembrare una sciocchezza ma per chi ha un reddito medio basso, significa un maggior dispendio per l’acquisto di beni e se già faticava prima ad arrivare a fine mese, si immagini adesso.

In altre parole, si è deciso di non agire con una tassazione in base al reddito che avrebbe colpito i redditi alti, ad esempio con una patrimoniale. Gli effetti di questa manovra saranno un aumento dell’inflazione e una maggiore contrazione dei consumi con l’aggravante che cio’ avviene in una situazione già di grave crisi economica che tenderà ad aggravarsi ancora di piu’.

Bene lo ha spiegato il Presidente Napolitano che ha dichiarato che cio' che conta è il rapporto debito pubblico e Pil, cio' fa si che anche se il debito pubblico non cresce ma il Pil non aumenta anzi decresce, diventa arduo ridurre tale rapporto.

Molti hanno dichiarato in fase di discussione della manovra varata dal governo, che una patrimoniale non risolve il problema ma ci vogliono riforme strutturali. Il problema è che dietro la frase “riforme strutturali” si indica sempre che da colpire sono il welfare, le pensioni e il mondo del lavoro. Mai si colpiscono gli sprechi riducendo i mega stipendi degli amministratori di società a partecipazione pubblica, impedendo anche la presenza in piu’ consigli oppure lo stipendio dei parlamentari e il costo dei palazzi della politica o ancora il finanziamento pubblico dei giornali.
E ancora: si potrebbe pensare di far pagare le bande del digitale terrestre alle varie televisioni, proprio come avviene per la telefonia, anzicchè regalarle alle tv in questione come prevede attualmente la legge.
Sono piccole cose quelle da me indicate, il problema è che “queste piccole cose” sono immumerevoli e iniziare proprio dal ridurre fino ad eliminare gli sprechi, sarebbe un buon inizio poi si potrebbe iniziare a incentivare le imprese imponendo facilitazioni fiscali a quelle che si certificano per fornire prodotti e servizi di qualità garantita, che investono nel rinnovo tecnologico, che assumono con contratto a tempo indeterminato coloro che hanno lavorato per tali aziende come precari per tre anni. E ancora si potrebbero razionalizzare gli investimenti evitando quelli inutili come il ponte sullo stretto e privilegiare quelle strutture che facilitino il trasporto dei beni prodotti dalle imprese.

La patrimoniale, che personalmente sostengo e difendo, servirebbe per iniziare a dare una riduzione consistente del debito pubblico e per allentare la morsa alla gola che in questo momento attanaglia l’economia del paese.

Invece la rotta decisa è altra e nella devastazione cui assistiamo si aggiunge al danno anche la beffa. In realtà dovrei dire beffe visto che si fa a gara a chi le spara piu’ grosse. Il primo è sicuramente il Ministro per le riforme Bossi che, non sapendo come far continuare ad ingoiare alla propria base la il rapporto con Berlusconi, torna a delirare di secessione della Padania millantando persino una via democratica tramite referendum. Se questo fosse stato detto tra una birra e l’altra seduti al bar se ne potrebbe ridere e collocarlo tra le note di colore non spendendoci piu’ di cinque minuti per poi passare a discutere di altro. Il problema è che tale stupidaggine oltre ad essere grave in sè in quanto espressa da un ministro della repubblica italiana, è stata proposta durante una manifestazione politica che, per quanto folcloristica, rimane sempre una manifestazione politica.

Se fossimo in un paese serio, un ministro della repubblica che parla di secessione verrebbe subito costretto a dimettersi se non inquisito per attentato alla repubblica stessa. Quella delle dimissioni sarebbe poi una strada obbligata se a maggior ragione il ministro parla di secessione per via referendaria quando cio’ non è possibile, come ha ben spiegato il presidente Rodotà, eminente costituzionalista. Un ministro della repubblica, specie se è il ministro delle riforme costituzionali, questo dovrebbe saperlo, se non lo sa allora non è adatto a fare il ministro se invece lo sa e racconta una balla dovrebbe andare a casa perchè mente, oltre ad affermare cose eversive.

Qui potete leggere le dichiarazioni di Rodotà

“L’invocazione di secessione fatta da un ministro della Repubblica che si occupa di riforme istituzionali è un atteggiamento eversivo”. Non ha dubbi il giurista Stefano Rodotà nel commentare le parole di Umberto Bossi che domenica a Venezia, concludendo la Festa dei popoli padani, ha ritirato fuori la carta della secessione, arrivando a lanciare un referendum per realizzare la Padania.

Spiega Rodotà: “La Costituzione, all’articolo 5, dice esplicitamente che l’Italia è una Repubblica una e indivisibile. E dunque, parlando di secessione si va assolutamente contro una norma costituzionale”.


Professore, è possibile pensare a un referendum per realizzare la secessione “in modo democratico” come ha provato a dire Bossi?

Si tratta di un’idea improponibile in ogni forma perché i referendum sono specificamente indicati dalla Costituzione per situazioni diverse da queste. Non si può neanche seguire la strada della revisione costituzionale. Sia nell’articolo 5 che nel 139 si dice che la forma Repubblica non può essere oggetto di revisione costituzionale: la forma data allo Stato non può essere toccata. Nel nostro sistema non c’è nessuno strumento legale per la secessione, perciò si tratta di una proclamazione eversiva.

Allora, cosa ne pensa di un ministro dell’Interno che, come ha fatto Bobo Maroni domenica, non solo non denuncia questo tipo di richieste, ma anzi sale sullo stesso palco di Bossi?

Un ministro dell’Interno, o di qualsiasi altra materia, non può né appoggiare, né far passare sotto silenzio ciò che ha detto Bossi. Vorrei sottolineare in questa prospettiva che alle parole del Senatùr non ci sono state reazioni politico-istituzionali adeguate.

Da cosa dipende secondo lei?

Da molto tempo è invalsa l’abitudine di considerare le uscite dei leghisti (e non solo) come folklore, come manifestazioni non rilevanti. Più volte Berlusconi ha raccontato che Bossi, dopo aver parlato in pubblico, va da lui e “chiarisce” in privato qual è la sua vera posizione. Il degrado istituzionale è favorito da questa sottovalutazione. Se mai domani qualcuno reagirà, i cittadini diranno: “Ecco, di nuovo la casta ci vuole negare il diritto di decidere il nostro destino come il nostro capo Bossi vorrebbe”. Insomma, sono le reazioni degli altri quelle che mi preoccupano mentre Bossi in difficoltà tenta di tornare alle origini con un atto eversivo.
Napolitano dovrebbe intervenire? E come?

Il capo dello Stato – che in altre occasioni è intervenuto in maniera molto netta – deve pronunciare parole adeguate alla gravità delle cose che Bossi ha detto a Venezia. Ho letto che Eugenio Scalfari su Repubblica ha suggerito a Napolitano di mandare un messaggio alle Camere: non per vantare primogeniture, ma qualche tempo fa avevo sottolineato lo stesso punto. Il degrado progressivo rende necessario che il presidente possa fare un messaggio al Parlamento e restituire alla legge costituzionale il posto che le spetta.

(Wanda Marra, Il Fatto, 20-09-2011)
© Il Fatto Quotidiano

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